Domande e risposte
I genitori molto spesso si interrogano in relazione ai metodi educativi che impiegano, ai trattamenti più efficaci per la cura dell’ADHD, al ruolo che la scuola dovrebbe ricoprire e in relazione a molte altre tematiche di notevole rilievo. Qui di seguito sono state raccolte le domande più frequenti con le relative risposte per tentare di chiarire alcuni aspetti poco noti.
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Il Diagnostic and Statistical Manual, 5th Edition (DSM-V) identifica tre tipi di ADHD: il tipo con Iperattività-Impulsività predominanti, il tipo con Disattenzione predominante, il tipo Combinato.
I bambini affetti da ADHD con Disattenzione predominante tendono a sognare ad occhi aperti e ad aver difficoltà di concentrazione.
E’ possibile quindi che alcuni bambini siano affetti ad ADHD essendo disattenti e disorganizzati, senza manifestare la componente iperattiva.
Per l’ADHD, la maggior parte degli esperti consiglia un trattamento multimodale, costituito da un mix di interventi medici, educativi, comportamentali e psicologici. Essi possono includere l’impiego di modificazioni e adattamenti educativi, modificazioni del comportamento, parent training, counseling e farmaci.
Gli psicostimolanti (come il metilfenidato, le destroanfetamine e la pemolina) sono i farmaci maggiormente usati per il trattamento sintomatologico dell’ADHD. Circa il 70-80% dei bambini con ADHD risponde bene al trattamento con gli psicostimolanti. Altri farmaci usati sono gli antidepressivi e gli anti-ipertensivi. Questi farmaci migliorano l’attenzione e diminuiscono l’impulsività, l’iperattività e l’aggressività.
La gestione del comportamento è un intervento di fondamentale importanza con i bambini affetti da ADHD. La tecnica principale è quella del rinforzo positivo, in cui il bambino riceve un premio, ogni volta che mette in atto il comportamento desiderato.
Il successo scolastico può richiede una serie di interventi. La maggior parte dei bambini con ADHD può apprendere regolarmente in classe con la sola aggiunta di qualche piccolo accorgimento come il supporto di insegnanti di sostegno, e/o programmi “differenziati” di sostegno fuori dall’aula scolastica. I bambini più gravi possono richiedere classi speciali.
Gli adulti affetti da ADHD possono trarre beneficio imparando a strutturare e a organizzare il loro ambiente circostante. I farmaci efficaci coi bambini con ADHD sembrano essere utili anche agli adulti affetti da ADHD. Il counseling è spesso un intervento di grande importanza. La psicoterapia breve può aiutare il paziente a individuare eventuali connessioni tra il suo disturbo e le prestazioni comportamentali al di sotto della norma e le difficoltà interpersonali. Una psicoterapia a lungo termine, d’altra parte, può aiutare a controllare ogni sbalzo d’umore, a stabilizzare le relazioni e alleviare i sensi di colpa e di sconforto.
I protocolli terapeutici che vengono programmati e realizzati per il trattamento dell’ADHD mirano a ridurre la gravità dei sintomi e a favorire un buon inserimento del bambino nel suo ambiente di vita. L’obiettivo, infatti, consiste nello sviluppare un adeguato benessere che dipende anche dalle relazioni con i genitori e con gli insegnanti. Di conseguenza, un trattamento che includa tutte le persone coinvolte nella vita del bambino con ADHD appare essere la risposta più efficace per contrastare le difficoltà innescate dal disturbo stesso. Una tipologia di trattamento che risponde a questa esigenza è quello combinato che comprende sia la terapia psicologica che quella farmacologia. La terapia psicologica a sua volta può articolarsi in diversi formati, dalla consulenza agli insegnanti, alla formazione dei genitori fino al training cognitivo e metacognitivo per il bambino (in alcuni casi può essere indicata anche la psicoterapia). L’intervento psicologico che riguarda tutte e tre le figure coinvolte viene detto multimodale e un noto studio americano (Gruppo MTA – Multimodal Treatment for ADHD) esemplificativo di tutti gli studi sui training multimodali, ha confermato l’importanza della combinazione di entrambi i fattori terapeutici (farmaco e training psicologici) come risposta più adeguata sia per ridurre la gravità dei sintomi dell’ADHD, sia per favorire nel bambino e negli educatori (genitori e insegnanti) adeguate abilità relazionali e di gestione delle situazioni complesse.
Programmare un trattamento significa soprattutto adattare la terapia in base alla situazione sociale in cui si trova inserito il bambino. Il clinico deve tenere in considerazione diversi fattori che determinano una certa scelta terapeutica, tra cui la comorbilità del bambino, la situazione familiare (il livello socio-economico e il vissuto dei genitori stessi), la collaborazione con la scuola, nonchè la possibilità per i genitori di recarsi presso il servizio di riferimento.
Nel tentativo di cercare aiuto nei casi di ADHD, ci si può affidare a trattamenti che alcuni ritengono efficaci ma la cui validità non è stata provata scientificamente. Per accertarsi che i trattamenti siano sicuri ed efficaci, è bene evitare quelli controversi e informarsi sui risultati valutativi delle terapie consigliate.
L’attuale legislazione in materia di handicap (L.104/92) prevede l’assegnazione di un insegnante di sostegno alla classe solo nel caso in cui uno degli alunni venga segnalato e successivamente “certificato”. Non tutti i bambini che ricevono una diagnosi vengono poi necessariamente certificati: la famiglia o gli specialisti territoriali possono anche non ritenerlo necessario. In questi casi il bambino non beneficia di un insegnante di sostegno, né di alcun’altra forma di aiuto e di intervento se non quelli che la scuola riesce ad organizzare autonomamente, secondo progetti personalizzati che potranno avvalersi delle risorse ordinarie ed, eventualmente, di assistenti educativi comunali.
Molti bambini con ADHD possono non aver bisogno dell’insegnante di sostegno, se sostenuti da una corretta ed organizzata azione sinergica di scuola-famiglia-servizi; altri potranno invece certamente riceverne vantaggio, da quantificare, in termini di monte ore, caso per caso (secondo la gravità con cui il disturbo ostacola la normale vita scolastica e l’eventuale associazione di altri disturbi: aggressività, disturbi dell’apprendimento, ecc…).
Gli alunni affetti da ADHD nel caso in cui non ricevano un trattamento adeguato e appropriato, hanno una maggiore probabilità di bocciatura, di abbandonare precocemente la scuola, di incorrere in fallimenti scolastici e di incontrare difficoltà di adattamento sociale e regolazione emotiva.
Questo probabilmente perché l’ADHD rende i bambini più vulnerabili nei confronti del fallimento nelle due aree più importanti per lo sviluppo delle abilità – la prestazione scolastica e il rapporto coi pari. Non è che i bambini affetti da ADHD non siano in grado di imparare, ma incontrano difficoltà a scuola a causa della scarsa capacità di organizzazione, dell’impulsività/iperattività, della disattenzione e della distraibilità. Comunque, alcuni bambini con ADHD incontrano anche difficoltà di apprendimento che complicano ulteriormente l’identificazione del disturbo e la scelta del trattamento.
L’ADHD è spesso presente insieme ad altri problemi dell’apprendimento, problemi comportamentali, emotivi e dello sviluppo. Questi comprendono i disturbi dell’apprendimento – in particolare della lettura, della scrittura, dell’ortografia, e di matematica – i disturbi del linguaggio, il disturbo della condotta, il disturbo oppositivo provocatorio, i disturbi dell’umore e quelli d’ansia. L’ADHD influenza anche la memoria – specialmente quella a breve termine - e le capacità organizzative.
Se l’ADHD non viene curata, può portare ad una bassa autostima e ad uno scarso adattamento sociale. I bambini affetti da questo disturbo solitamente incontrano difficoltà interpersonali e il rifiuto da parte del gruppo dei pari, ed è stato dimostrato che tendono a suscitare più feedback negativi da parte degli insegnanti.
L’ADHD si può presentare in soggetti di tutti tipi di livello intellettivo, e persino bambini brillanti e dotati di talento affetti da ADHD possono incontrare fallimenti scolastici. A dispetto delle loro capacità, la loro disattenzione, impulsività e iperattività spesso diventano evidenti nel fallimento scolastico, nella bocciatura, nelle sospensioni e nelle espulsioni. Senza un’appropriata diagnosi, strutture idonee e un intervento tempestivo, i bambini affetti da ADHD hanno maggiori probabilità di incorrere in conseguenze negative.
E’ di fondamentale importanza che l’istituto scolastico sappia instaurare e mantenere un dialogo aperto e continuo coi genitori, ricco di momenti di confronto e di riflessione, e che li tenga costantemente informati delle problematiche che i loro figli sin da piccoli si trovano ad affrontare. E’ necessario che la scuola poi segnali il problema e sia in grado di sviluppare un clima di collaborazione coi servizi territoriali che si occupano del percorso riabilitativo.
Quasi tutti i programmi che si occupano dell’insegnamento dei comportamenti sociali coinvolgono alcune forme di modellamento (modeling), che consiste nel mostrare il comportamento appropriato in modo che il bambino lo possa imparare per imitazione. Il modellamento del comportamento (role modeling) consiste nell’impiego, mentre si parla, di stimoli verbali di grande effetto che attirano l’attenzione, il rinforzo dei comportamenti positivi e adeguati, il saluto quando si entra o si esce da un luogo, e sorrisi e gesti adeguati Per i più piccoli i burattini possono essere dei modelli idonei. Una parte importante del modeling coinvolge l’impiego delle abilità relative alle emozioni positive e il linguaggio del corpo. I bambini affetti da ADHD possono aver problemi nell’interpretazione delle espressioni facciali e, solamente se è stato loro insegnato a leggere le emozioni che vi stanno dietro, possono migliorare la comprensione delle interazioni sociali. Il bambino con ADHD trarrà benefici dal feedback immediato (che può essere il genitore/insegnante arrabbiato, compiaciuto, ecc…). Anche i gesti dalle forti connotazioni emotivo-affettive (strizzatine d’occhio, ok col pollice, occhiate di disapprovazione, sopracciglia aggrottate, ecc…) rappresentano col bambino un tipo di comunicazione efficace.
Il genitore che impiega elogi diretti e incoraggianti favorirà lo sviluppo di risposte sociali appropriate. Un elogio dà valore allo sforzo del bambino e non semplicemente al risultato ottenuto. Per esempio: “Scommetto che hai lavorato duramente su questa cosa”. L’elogio non considera la qualità ma riconosce esclusivamente che il bambino ha lavorato bene. Non ci si deve focalizzare su ciò che il bambino non riesce a fare, mentre ci si deve concentrare sui punti di forza e sulle capacità del bambino.
Di seguito sono riportate quelle che Cordula Neuhaus ha definito delle regole ferree che possono aiutare a gestire il comportamento di un figlio con ADHD. Psicopedagogista e terapeuta comportamentale, Cordula Neuhaus svolge da molti anni attività ambulatoriale con bambini, adolescenti e adulti.
- Stabilire chiaramente qual è il comportamento richiesto con tono pacato, fermo ma fondamentalmente gentile (mai sdolcinato, in latenza aggressivo, supplichevole, rassegnato). Esempio: “Carla, stasera alle sei ti risentirò la lezione, per cortesia preparati”. Non: “Carla, spero che tu sia d’accordo se stasera ti risento la lezione”. Non: “Carla, per una volta non fare tante scene stasera quando ti risentirò la lezione!”. Non: “Carla, vediamo se questa volta hai pietà di me e mi permetti di risentire la lezione”.
- Elencare in anticipo quali sono le attività da svolgere. Nel far questo il genitore dovrebbe far presente tutto ciò che potrebbe accadere nel corso della giornata. Non c’è niente che provochi più resistenza che richiedere ogni volta una attività. Una breve lista con i diversi lavoretti da fare, consegnata al mattino, può aiutare molto. Naturalmente bisognerà mettere in conto fin dall’inizio che opponga resistenza, soprattutto con un rifiuto verbale. Però non ci si deve perdere d’animo: pazienza, pazienza, pazienza!
- Non dare spazio a discussioni o a rifiuti verbali (“Non me ne frega niente”, “Arrangiati, sono fatti tuoi!”). Il malumore deve eventualmente essere affrontato fin dall’inizio. Esempio: “Lo so che ti dà di nuovo molto sui nervi se ti dico di rimettere a posto la tua stanza. Ma eravamo rimasti d’accordo che entro le otto di venerdì sera doveva esser fatto”. Con i più piccoli può essere utile mettersi a borbottare insieme a loro, a parlare parallelamente o semplicemente “fissare” il comportamento richiesto.
- In una critica o nella discussione di un problema restare assolutamente aderenti a quella situazione, non prenderla alla larga, non deviare! Esempio: Luca, hai lasciato la tua bicicletta a terra sul prato, per cortesia mettila in garage!”. - “Ma sarebbe stupido, poi la devo riprendere di nuovo!”. - “Hai sentito cosa ti ho chiesto di fare, vero?”. Non: “Hai sempre qualcosa da ridire, qualunque cosa ti si chieda di fare, aiutare, fare i compiti. Ma chi ti credi di essere? Aspetta un po’ stasera lo racconto a tuo padre…” Esempio: “Oggi non vorrei che tu scappassi subito alle due dai tuoi amici. Dobbiamo portare via insieme l’immondizia, ho bisogno del tuo aiuto!”. Non: “Non devi fare tutti i giorni solo quello di cui hai voglia, io ti lascio anche in pace, pensa a ieri, ho fatto tutta la spesa da sola, mi devi aiutare solo qualche volta…”.
- Non lamentarsi delle piccole cose, ma esigere solo ciò che è essenziale. Fornire una reazione immediata, frequente, con una chiara conseguenza di cui era stato precedentemente avvertito. Esempio: “Per favore porta i tuoi panni sporchi nella stanza della lavatrice, grazie” – “Ora…!” – “No, subito, va bene?!” – “Oh, ma lo devo fare proprio ora, basta anche stasera!” – “No, subito per favore, eravamo d’accordo no? Altrimenti non lavo le tue cose”. Se il bambino si mette in moto borbottando e porta via le sue cose, dire soltanto “Bene, grazie!” e nient’altro!
- La disponibilità ad impegnarsi deve essere rinforzata e non solo il risultato dell’azione. Esempio: “Eva, capisco che tu sia delusa di aver preso solo un sette dopo aver studiato tanto. Ti eri messa proprio sotto! Non mollare ne vale la pena!”. Non: “Beh, un sette, con tutto quello che hai studiato?”. Non: “Un sette va già bene, ma devi migliorare, devi studiare ancora di più!”.
- Non lodare esageratamente e neanche punire esageratamente, ciò porta di nuovo a reazioni estreme.
- Quando la tensione sale: interrompere il contatto visivo, abbassare la voce! Questo occorre farlo anche quando si risente la lezione. Si devono fare le domande sull’argomento senza giudicare o criticare. In questo modo è più facile contenersi. I bambini con ADHD sono oltremodo sensibili alla mimica, ai gesti e al tono di voce e si pongono subito in contrasto o in atteggiamento di difesa. Per questo nelle situazioni critiche il contatto visivo non deve restare fisso e non si deve alzare il tono di voce. Il primo comandamento nei casi di ADHD: MAI DISCUTERE O CERCARE UN ACCORDO NELLA FASE ACUTA DI UN CONFLITTO.
- Ricorrere spesso a correzioni non verbali o molto concise, magari con contatto fisico, toccando ad esempio le spalle. Ciò costituisce per loro un punto di riferimento. Prescrizioni comportamentali e appelli morali, come: “Ora dovresti veramente…”, “Non potresti almeno…”, “Io vorrei che tu adesso una buona volta…”, si devono assolutamente evitare. Nell’ADHD le spiegazioni continue producono soltanto un blocco.
- Quando è necessario alzare la voce, non si devono esprimere etichettature, come “Se ti andrà bene farai il manovale”, “Andrai a finire male”, “Sei il peggiore di tutti”. Un breve “Ehi!” o un “Basta!” sono sufficienti come segnali.
- Si devono evitare avverbi estremi come “continuamente”, “sempre”, “mai”.
- Se si crea un litigio tra fratelli, non esiste una frase giusta: separare i ragazzi, non permettere di fare la spia. In questo caso guardare brevemente negli occhi e con voce bassa dire “basta” in modo fermo e deciso.
- In caso di scoppio d’ira è indispensabile un intervento rapido e risolutore, separandoli e imponendo un time out con un chiaro segnale.
- Subito dopo un’impennata della tensione e un calo del nervosismo non deve seguire alcuna rielaborazione. Si deve riprendere il normale svolgimento della giornata e tornare chiaramente in seguito sull’argomento, altrimenti risale subito l’agitazione. In nessun modo si deve insistere con frasi del tipo: “Se tu non avessi…”, “Se io non avessi…”.
- In una conversazione seria si deve sempre dire qualcosa di positivo prima del negativo. Altrimenti cominciano subito le difese! E se dopo una formulazione positiva la frase successiva inizia con un “ma”, deve essere formulata nel modo seguente: “Mi sembra che negli ultimi tempi ci intendiamo di più, e vorrei che ci trovassimo d’accordo anche…”
- Potrebbe essere utile provare con una comunicazione scritta: un biglietto con le attività da svolgere messo sul piatto della colazione al mattino è meno carico di conflittualità che non la richiesta continua di aiuto durante il giorno.
- Il comportamento del bambino non va preso come una questione personale, in gioco c’è sempre il ruolo che si ricopre nei suoi confronti. Chi è capace lo mostra nel perdono, nella disponibilità a ricominciare ogni giorno da capo, a essere tollerante e rimanere fermo come una roccia nella marea della labilità umorale.
- Quanto più humor si riesce a tirar fuori per tutto ciò che è tipico della sindrome, tanto meglio è. Un intervento paradossalmente spiritoso può compiere miracoli.
Esistono anche due altre importanti strategie comunicative che risultano particolarmente efficaci : 1) la ristrutturazione con connotazione positiva della disattenzione e iperattività dell’alunno e 2) la prescrizione paradossale del suo comportamento da correggere.
La strategia della connotazione positiva, richiede che si interrompano le richieste di prestare più attenzione e di dichiarare al bambino che per lui sarebbe molto difficile diminuire i comportamenti disturbanti, in quanto sono utili (ci si inventa una utilità) e che anzi d’ora in poi ( prescrizione paradossale) gli si permetterà di continuarli vista la difficoltà “dell’impresa”.
La prescrizione paradossale, prescrivendo il comportamento che si intende estinguere, produce in questo modo la perdita della spontaneità dei gesti e un “doppio vincolo” in cui se il bambino risponde mantenendo il comportamento, lo fa sotto il controllo di un’altra persona e i suoi atti non sono più spontanei (la prescrizione del gesto, gli fa perdere spontaneità e lo svuota del suo significato). Se invece il bambino abbandona il comportamento ribellandosi alla prescrizione, si ottiene la scomparsa del problema. All’interno di questa manovra, qualsiasi scelta il bambino decida di compiere, innesca un cambiamento Per ottenere un cambiamento è necessario proporre a regola d’arte il paradosso.
Nell’eventualità in cui si è già innescato il processo di etichettamento del caso, quasi contemporaneamente alle manovre appena citate, si cerca di opporre a una profezia che si autorealizza una seconda in direzione opposta. Questa è chiamata tecnica del “come se”, ovvero, si insinua l’idea nelle persone che interagiscono col bambino che qualche cosa sta cambiando in lui. In questo modo si costringono gli altri a concentrare la propria attenzione sui nuovi comportamenti: si innesca così una nuova profezia che determinandosi produce utili cambiamenti per la gestione del problema.
Nel caso in cui vostro figlio non sia adeguatamente integrato nel contesto classe, è possibile rivolgersi agli operatori dell’AIDAI e chieder loro una consulenza telefonica al numero 075/3722518 o via mail all’indirizzo di posta elettronica aidai@libero.it.
Fino agli anni Settanta, nell’ambito della ricerca scientifica americana, l’ADHD era considerata un disturbo del comportamento senza evidenti compromissioni sia nella sfera cognitiva che emotiva, mentre in Italia, la lettura del problema subiva l’influenza delle teorie psicoanalitiche. Su posizioni diametralmente opposte si ponevano l’approccio americano e quello dei clinici italiani: i primi diagnosticavano un Disturbo comportamentale, senza cercar alcuna ulteriore spiegazione, mentre i secondi tentavano di rinvenire alla base del comportamento problematico una causa legata ad un difficile rapporto con la madre, negando il semplice fatto che il bambino potesse essere predisposto a sviluppare l’ADHD.
Una svolta importante nella comprensione dell’ADHD è avvenuta con gli studi di Virginia Douglas che ha individuato la causa in un deficit di autoregolazione attentiva e comportamentale, contribuendo così a convogliare l’interesse dei ricercatori sullo studio dei deficit cognitivi, con la conseguente riduzione delle indagini nei confronti degli aspetti comportamentali.
Con il nuovo millennio in Italia sono aumentate le diagnosi di ADHD come conseguenza di un incremento della sensibilità nei confronti dell’ADHD: le richieste di genitori e insegnanti privi di risorse e strategie per gestire i comportamenti disturbanti dei bambini con ADHD si fanno sempre più pressanti verso gli specialisti. Per questo motivo una parte sempre più numerosa di clinici riconosce che i modelli classici di interpretazione del disagio infantile (soprattutto quelli derivanti dalla psicoanalisi) difficilmente forniscono strumenti adatti per comprenderlo e fronteggiarlo, e che le psicoterapie dinamiche si appaiono sempre meno idonee a fornire adeguata soluzioni in questo settore. Nonostante in Italia si stia recentemente affermando questo diverso approccio al problema, accade ancora frequentemente che alcuni specialisti ritengano i disturbi del bambino con ADHD riconducibili ad una situazione familiare affettivamente carente, e, di conseguenza curabili, con una maggiore attenzione ai figli da parte dei genitori.
Recentemente è stata quindi rivolta grande attenzione a questa patologia, alla sua eziologia e ai trattamenti, e ha suscitato talmente tanto interesse non solo in ambito medico, ma anche da parte dei media, che è aumentata la consapevolezza della sua esistenza ed alcuni temono persino che possa essere diagnosticata in eccesso.
Alla pagina https://www.aidaiassociazione.com/centri_affiliati.htm è riportato l'elenco dei Centri Ambulatoriali e Ospedalieri in Italia a cui è possibile rivolgersi per diagnosticare l'ADHD.